
In un’era in cui i social media amplificano ogni voce, trasformando opinioni in armi, la notizia delle minacce di morte ricevute da Roberta Bruzzone ci riporta con brutalità alla realtà. La celebre criminologa, volto ormai noto della televisione italiana e autrice di analisi implacabili sui casi più oscuri della cronaca nera, si è trovata bersaglio di un’onda di odio che va oltre il semplice dissenso. Messaggi che annunciano danni fisici, insulti degradanti e persino allusioni inquietanti come “so dove è il tuo studio” non sono solo parole, ma veri e propri atti di terrore psicologico. Come appassionato di True Crime, non posso fare a meno di riflettere su come un’espressione libera, seppur controversa, non condivisa, possa degenerare in violenza, e su quanto sia urgente un cambio di paradigma nel nostro modo di confrontarci con il dibattito pubblico. La Dott.ssa Roberta Bruzzone, nota per il suo stile diretto e tagliente, da anni, commenta casi come l’omicidio di Chiara Poggi a Garlasco o quello di Giulia Cecchettin, portando alla luce dinamiche psicologiche complesse con una franchezza che non sempre piace a tutti. Ma è proprio questa schiettezza a renderla un bersaglio. Recentemente, in occasione di una puntata di Ore 14 dedicata al giallo di Garlasco, la Bruzzone ha denunciato pubblicamente di essere al centro di una campagna di attacchi online protrattasi per mesi.
“Ho ricevuto numerosi messaggi di minaccia, in cui le veniva apertamente annunciato che le sarebbero stati inflitti danni fisici”, ha raccontato, visibilmente scossa, rivelando di aver identificato un gruppo organizzato che agisce come una vera “associazione a delinquere”.
Queste minacce non sono nate dal nulla, perché spesso, queste emergono da dissidi, aspri commenti su casi giudiziari, come quelli legati a presunti gruppi di “malagiustizia” che accusano Bruzzone di diffamazione. Ma il punto è chiaro: esprimere un’opinione, anche forte, non può giustificare l’escalation verso la violenza. In un Paese democratico, il dissenso deve rimanere tale, non evolvere in stalking o minacce che violano la privacy e la sicurezza personale. “So dove è il tuo studio”: è una frase che evoca lo scenario di un True Crime reale, dove l’anonimato online diventa il preludio a un’aggressione fisica.
Vorrei esprimere solidarietà alla dott.ssa Bruzzone, da un blog dedicato al True Crime che tanto ama analizzare, come il mio, vorrei dirle che non é sola.

Il pericolo degli Haters
Gli haters non sono solo troll anonimi, profili fake: sono un fenomeno pericoloso che crea e amplifica odio. In un’era di polarizzazione, dove algoritmi premiano l’odio per generare clic e visualizzazioni, le minacce a figure pubbliche come Bruzzone diventano la norma. Nel True Crime, vediamo eco di questo nelle storie di vittime perseguite online prima che il crimine fisico si materializzi, pensate ai casi di revenge porn o cyberstalking che precedono omicidi reali.
Questo odio non solo terrorizza individui, ma avvelena il dibattito. Crea un clima di paura che scoraggia voci critiche, trasformando i social, in un’arena dove il più aggressivo vince.
Il True Crime, per sua natura, è un genere che scava nelle ferite aperte della società, omicidi, abusi, ingiustizie e trattare questi argomenti richiede non solo competenza, ma anche empatia e molto molto tatto, pensando che anche le famiglie delle vittime possano leggere e/o sentire i temi che trattiamo; ci vuole rispetto, qualcosa sempre meno presente nella vita online.
C’è bisogno di più tolleranza nei social, un confronto sereno, senza scadere in linciaggi virtuali. Esprimere un’opinione deve essere un diritto, non un rischio. Nel mio blog, continueremo a esplorare l’oscurità del crimine con passione, ma anche con un appello alla responsabilità. Perché il vero mostro non è nelle storie che raccontiamo, ma nell’odio che permettiamo di diffondere…il mostro cresce con l’odio di cui si nutre.
Restiamo umani, restiamo sereni…confrontiamoci con rispetto, al prossimo articolo.
TrueCrimeItalia.